La rabbia è come un virus: se non ce ne si prende cura, si attacca agli altri, soprattutto a chi ci sta più vicino. Trasformare la rabbia significa imparare a esprimere la creatività. Cominciamo il viaggio di Lei che non ha voglia di fare la guerra
Tempo fa, un’amica mi ha raccontato l’ennesimo episodio di rabbia di una donna nei confronti di un’altra donna, e mi ha chiesto: “Ma, secondo te, come può mai esserci tanta rabbia in una donna?”
Ho avuto l’occasione di rimanere a casa per tanto tempo e ho deciso di approfondire un po’ l’argomento. Ho letto tanti libri in pochi giorni e penso di aver trovato la risposta a questa domanda.
Anche se Lei ha fatto tutto quello che c’era da fare, anche se ha raggiunto tutto quello che si era prefissata, c’è ancora qualcosa che la rende infelice.
La ragione per cui la donna sente questa insoddisfazione bruciare è banale nella sua semplicità, eppure importantissima: è una donna. Questo non vuol dire che è complicata e incomprensibile, isterica e indomabile, intrattabile, uterina, permalosa, petulante. Significa, al contrario, che è parte di una storia di sottomissione, violenza, abuso, silenzio. Anche se non l’ha vissuto in prima persona porta con sé la memoria di quello che tutte le altre donne hanno vissuto nel corso della storia a causa del proprio bisogno di essere libere e realizzate: la paura di essere tradita, la paura che le vengano tarpate le ali, la paura di essere sopraffatta dalle responsabilità, caricata di pesi infiniti sulle spalle; la paura che le venga detto che non può parlare, che non può andare via, che deve tornare al suo posto, come se dovesse costantemente dimostrare gratitudine.
I testi su cui si fonda la nostra cultura hanno contribuito a tracciare un’immagine del genere femminile: la donna cattiva era la strega, la megera, la pazza, la scorbutica, mentre la donna buona era remissiva, sottomessa, santa. Come ha scritto Luciana Percovich in Oscure madri splendenti, queste vicende avevano lo scopo di tramandare l’idea che l’uomo fosse il naturale depositario del potere e che la donna dovesse accettarlo, e colei che non obbediva si sarebbe resa ridicola.
Il problema è condivisibile con milioni di altre donne, ma rappresenta ancora un tabù, una cicatrice tanto profonda da non essere condivisa neanche tra donne, e ancora incomprensibile per molti uomini. La porta a sentirsi sbagliata, a essere percepita dagli altri come troppo aggressiva o troppo remissiva, troppo arrabbiata o troppo incline al risentimento. Allora ha provato a distrarsi, ad abbassare il volume della voce che glielo ricordava, si è fatta più piccola, più innocua, e altre volte ha assunto una forma che non era la sua, si è travestita con i panni di un personaggio distante da sé pur di riuscire a non pensarci.
È la memoria di un dolore che non ha tanto a che vedere con la storia personale, ma soprattutto con quella collettiva. Se è complicata e incomprensibile e se ha difficoltà a dire ciò che pensa davvero non è perché è infida, infantile o petulante, ma è anche perché nella storia le donne sono state zittite e umiliate, violate e deprezzate. Lei porta nel corpo questo dolore anche se con lo ha vissuto direttamente: ha ricevuto in eredità i brividi di chi l’ha preceduta.
Useremo alcuni personaggi per parlare della narrazione che ogni donna si porta dentro e la filosofia sarà la nostra compagna di viaggio. Filosofia intesa nel senso più antico, come l’arte di saper vivere. Filosofare aiuta a piazzare i punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi, e così ogni preconcetto esplode.
Cominciamo il viaggio di Lei che non ha voglia di fare la guerra, che vuole impegnarsi per creare una società nuova, che vuole realizzarsi senza essere giudicata, che vuole essere considerata un essere umano.
Come si cerca la libertà? Con un metodo che è liberante, una ricerca fatta al di fuori degli schemi e dei dogmi. Se la tua filosofia non la porti nelle tue scelte personali, nella tua vita quotidiana, allora non è vera filosofia, non ti sta cambiando, non ti sta muovendo.
Solo le ragazze coraggiose creeranno liberamente il loro futuro, Socrate diceva “crea te stesso”, la vita è nostra e sta a noi prenderci responsabilità e conoscere i nostri diritti e doveri.
Maura Gancitano e Andrea Colamedici, Tlon, in Liberati della brava bambina parlano del problema senza nome e ci spiegano che non è una patologia, ma è un desiderio, e ogni desiderio si risolve solo quando viene esaudito
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