Continua Il Viaggio di Lei che non ha voglia di fare la guerra, che vuole impegnarsi per creare una società nuova, che vuole realizzarsi senza essere giudicata, che vuole essere considerata un essere umano. Le storie hanno formato le comunità di ogni paese e ogni tempo. In ogni paese si tramandano storie simili. La fiaba sembra possedere un motivo archetipo, cioè una struttura umana universale, ha una dinamica relazionale che provoca un’emozione ed è quel quid che ti permette di entrare nella storia.
Tra le fiabe prendo in esame La bella addormentata, o La bella addormentata nel bosco, o Rosaspina, alla luce della rinarrazione operata con Maleficent.
Il personaggio di una storia è come un’immagine fissa, invece Maleficent è un esempio straordinario di rinarrazione. La storia affronta il tema del rapporto tra il femminile e il maschile, tra l’uomo e la donna nella società.
Uno dei danni principali causati dalla malattia della donna è la rabbia, che alla lunga causa risentimento: una sorta di afonia, una mancanza di voce che fa seguito alle innumerevoli grida d’aiuto. Lei oggi è arrabbiata a causa di quell’emozione lecita e inascoltata che ha covato troppo lungo e oggi è arrabbiata perché non ne può più di essere arrabbiata.
La fiaba può rappresentare un territorio di riflessione ma anche un terreno neutro e ancora incontaminato in cui l’incontro tra maschile e femminile può avvenire, in cui qualcosa di nuovo può accadere. Gli innamorati, cioè le due parti di noi, il femminile e il maschile possono incontrarsi e finalmente riconoscersi, senza distrazioni e senza pressioni.
Agli uomini va chiesto di costruire un mondo in cui non abbiano privilegi per il semplice fatto di essere nati maschi. È fondamentale che gli uomini si domandino, senza banalizzare, cosa si celi dietro a quei comportamenti apparentemente incomprensibili delle donne. Se tra uomo e donna è difficile capirsi, non è perché le prime vengono da Venere e i secondi ma Marte, ma perché a livello psicologico le donne si aspettano di essere ferite e gli uomini hanno la tendenza a non riconoscere la profondità delle loro cicatrici interiori e a non riconoscere il privilegio di essere maschi.
È chiara una dinamica a livello sociale: la rabbia nei confronti degli uomini e il dolore per il torto subito non diventa un motore per liberarsi, ma creano altre gabbie. Le donne possono diventare carceriere di altre donne, in particolare di quelle giovani e piene di possibilità, e anziché liberare se stesse imprigionano le altre. In preda alla rabbia, si finisce per rovesciare la propria maledizione sulla generazione successiva.
Malefica compie un gesto patriarcale perché non riesce a uscire dall’immaginario, e crede che la vendetta e il potere potranno mettere a tacere il dolore della ferita e non vede alternative.
Per patriarcato si intende un sistema sociale basato sul dominio dell’uomo, la sottomissione della donna e l’appiattimento di tutta una vita, pubblica e privata, al livello materiale, grazie all’esaltazione dei valori come la proprietà, il potere e la forza.
Le donne sono arrabbiate con gli uomini che hanno impedito loro di esprimere i propri poteri straordinari, di volare.
In Malefica di Maura Gancitano il mito viene svelato nella sua totalità grazie al cambiamento nel tessuto sociale e nella mente di uomini e donne.
In un mondo che fatica ancora ad abbandonare questo modello, Maleficent, ha avuto un successo sterminato. Perché? Perché mostra una nuova strada, una possibilità, e solleva il velo che per secoli abbiamo rinunciato a scostare, per paura di ciò che avremmo visto: la rimozione della nostra parte femminile e incontrollata, un gesto di cui siamo stati tutti responsabili.
Quando il femminile avverso il femminile si riconcilia, si rompe l’incantesimo e la potenza di questa mutazione è l’unica in grado di rompere la cristallizzazione del conflitto donna/uomo femminile/maschile spirituale/materiale. La soluzione è saper trasformare la rabbia, e l’unico modo per scioglierla è avere una nuova visione.
A livello socio-politico, se le donne hanno vissuto innumerevoli mortificazioni, gli uomini hanno portato su di sé il peso di quegli atti. Ed è un peso che dobbiamo cercare di sollevare unitamente, in modo che ne giovi tutta la società.
Oggi, a livello collettivo, lo scioglimento del trauma può avvenire, e questo gesto collettivo può essere un gesto di perdono individuale. Il perdono rappresenta la capacità di immaginare una vita diversa, una nuova realtà, un mondo in cui l’uomo non è più carnefice, ma è davvero compagno della donna.
Willis Harman ha scritto: “Nella storia, i mutamenti fondamentali nella società non emergono dai dettami dei governi né dal risultato delle battaglie, ma dal fatto che una grande quantità di persone cambiano la loro maniera di vedere le cose, a volte a poco a poco”.
Agli uomini oggi è chiesta una trasformazione, dando vita a un nuovo modo di essere padre, marito, amico collega. Una nuova generazione di compagni e padri ha bisogno di partecipare a questo cambiamento. Non desiderano sostituirsi alla donna, ma assisterla, vivere l’esperienza come non è mai avvenuto escluderli come si fa spesso, significa ignorare la loro mutazione psicologica, culturale e sociale di questi anni.
Dopo aver sciolto la rabbia ed essere diventate Regine abbiamo il dovere di aiutare l’uomo nel suo cambiamento, senza allontanarlo e senza svilirlo. Non tutti gli uomini sono pronti a farlo, ma la trasformazione è in atto, quasi una speciazione.
La via d’uscita è immaginare un nuovo modello sociale. Non è cambiando il leader che la società cambia, ma cambiando i rapporti tra tutti i suoi membri, iniziando a fare attenzione a tutte le azioni quotidiane, al linguaggio, alle discriminazioni.
La sfida di oggi è immaginare tanti tipi di potere: non solo quello marziale e impositivo, ma un potere comunitario, collaborativo, equo, paritario. Oggi crediamo che avere potere sia imporsi sugli altri e decidere al posto loro, ma il potere può essere una collaborazione tra forze diverse, non significa che sia meno solida, anzi. Che sia meno solida è solo un pregiudizio. Si tratta di dar vita a un modello costruttivo e non distruttivo. Si tratta di estendere la cura di se alla società.
Quello che ciascuno di noi può fare da solo è pochissimo. Tutto cambia quando iniziamo a farlo in tanti, quando percepiamo di essere una moltitudine, di avere uno scopo comune. Ovviamente è difficile: per essere iniziatori di piccoli gesti di cambiamento ci vuole forza, una forza maggiore di quella che serve per cedere all’odio. Per una buona pratica serve consapevolezza e perché la buona pratica scavalchi la marea di odio serve che la si faccia in tanti, con gesti apparentemente inutili, ma essenziali.

Dobbiamo essere attivi anche dal punto di vista della trasformazione, perché il pensiero nasce dall’esperienza, l’esperienza è educazione, ci conduce, ci accompagna. L’educazione è un fatto sociale, che riguarda tutti.
Dobbiamo utilizzare la #cultura come stimolante, per aiutare i più piccoli e i ragazzi a diventare #persone, #cittadini, ma soprattutto PADRONI DI SE STESSI.
Nella parte finale de Il secondo sesso, de Beauvoir spiega che l’unica rivoluzione possibile, per la filosofa, è la lotta tramite la riconciliazione con l’uomo, finalizzata alla parità fra i sessi.
Mandela sostiene che “l’istruzione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo” e solo grazie ad un alta formazione e alla grinta personale, le giovani donne potranno essere protagoniste libere e autonome. Non dobbiamo aspettare, dobbiamo costruire il futuro.
Il vero problema è che la parità dei ruoli e di diritti e doveri non ha ancora raggiunto la nostra cultura, questa non parità parte dalle famiglie, radicate nella cultura del non lavoro femminile.
I valori che ogni donna deve trasmettere ad un’altra donna sono di credere in se stessa, non avere alibi, vivere intensamente, scappare dalla mediocrità.
Le donne di potere possono cambiare la vita lavorativa alle giovani donne, quando le donne fanno squadra tra loro e mettono insieme i loro poteri i risultati sono sempre eccellenti.

Sta a noi donne costruire un mondo più equo far valere le nostre capacità, costruire un mondo non basato sulla prevaricazione, ma sulla collaborazione, comunità e competenze. Noi stesse dobbiamo creare politiche attive di lavoro e nuove opportunità lavorative che possano far conciliare meglio la vita familiare con quella professionale. Non dobbiamo aspettare che la politica crei la situazione ideale per noi.
Le giovani donne devono agire e non aspettare che siano gli altri a farlo. Dobbiamo aiutare gli uomini ad apprezzare e valorizzare le differenze e le risorse femminili e non dobbiamo permettere a nessuno di farci smettere di sognare una vita ricca di amore e una vita professionale ricca di soddisfazioni.
Dobbiamo trasformare tutte le nostre conoscenze in una nuova cultura, in nuovi progetti, in innovazioni, siamo più utili se attiviamo le nostre energie e troviamo soluzioni piuttosto che a stare nel coro.

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