“La prima battaglia culturale è stare di guardia ai fatti”
Socrate diceva “crea te stesso”, la vita è nostra e sta a noi prenderci la responsabilità e conoscere i nostri diritti e doveri.
La cosa più importante è l’azione, l’azione fortemente legata al pensiero. La vita si vive attraverso l’esistenza, l’esistenzialismo, cioè la filosofia della libertà. I condizionamenti sono sociali, ma anche cognitivi, dipendono dalla cultura in cui viviamo da millenni per cui tutto ci sembra normale.
Non si può lavorare da soli all’edificazione di una società paritaria. Ciò che possiamo fare è però prestare più attenzione, educare e educarsi al modo in cui si valuta una persona, alle parole che si usano, alle discriminazioni che si rischia di compiere, soppesando con criterio le minacce e le opportunità che la vita quotidiana ci riserva.
Un campo di gioco decisivo è il linguaggio, il linguaggio comune è specchio e strumento e per imparare a raccontarti devi saper scegliere le parole: devi capire, cioè, che il linguaggio che usi ogni giorno è un veicolo, è come una funivia: consente di raggiungere luoghi che altrimenti inarrivabili. Le parole salgono sui fili della funivia sono i confini del linguaggio: non puoi scendere se sei in volo, ma solo quando arrivi nel luogo in cui è possibile saltare giù senza farti male.
Il linguaggio che usi ogni giorno è fondamentale per entrare in relazione tra esseri umani, ma non è uno strumento neutrale: le frasi fatte che usi, il genere delle parole che scegli, gli epiteti che affibbi a qualcuno contribuiscono a rafforzarti o indebolirti. Molti studi hanno dimostrato che la questione non riguarda tanto il parlare correttamente: hanno dimostrato che la lingua condiziona il modo di pensare, e che parlando male si pensa male.
Il linguaggio deve diventare un campo d’azione comune, per essere liberi di pensare attraverso strumenti non disequilibrati. Dobbiamo impegnarci per trasformare questa cultura, partendo dall’equità di trattamento linguistico, lavorativo e sociale, ma puntando ben più lontano.
Con un metodo che è liberante, una ricerca fatta al di fuori degli schemi e dei dogmi. Se la tua filosofia non la porti nelle tue scelte personali, nella tua vita quotidiana, allora non è vera filosofia, non ti sta cambiando, non ti sta muovendo.
Dobbiamo imparare a essere libere di scegliere quotidianamente, di compiere il bene, di sentirsi liberi di fare il meglio per gli altri. L’inferno è la stasi, è farsi bastare il mondo così com’è.
Per Arendt la cosa più importante è l’azione, l’azione fortemente legata al pensiero. L’essere umano ha bisogno di agire nello spazio pubblico, quindi nella società. Arendt parla sempre di questo spazio pubblico, ma noi forse abbiamo dimenticato che non è un luogo dove fare esibizione di noi stessi, di farci vedere. Secondo Arendt ci sono cose che sono private e non possono diventare pubbliche perché risulterebbero false, diceva: “Io vivo di ciò che gli altri ignorano di me”.
Cosa distingue il mio spazio privato da quello pubblico?
Nel mio spazio privato c’è lo spazio per tutto quello che per me è intimo, che non mi interessa rivelare agli altri. Invece nello spazio pubblico io non posso cascare addosso alle altre persone. Quello che può cambiare l’ordine delle cose è “l’amor mundi”, la disposizione dell’essere umano a offrirsi gratuitamente, altro è riconoscere se stessi come dono.
Questo accade non se si è intelligenti, non basta, quello che serve è avere immaginazione e saper porsi le idee, sapersi relazionare con le idee.
La filosofia serve a farsi venire le idee, perché senza idee sei schiavo di ciò che ti viene detto. Si tratta di imparare a non essere indifferente.
L’opposto dell’indifferente non è lo schierato, ma colui che sa fare la differenza, sa discernere, che non si fa bastare un’idea solo perché glielo hanno detto. Le idee non hanno padroni, le idee vengono e sono attratte a colui che è abbastanza libero.
Scegliere di non essere massa, perché le masse non sono unite da un bene comune, ma solo da un “appetito”, porta le persone a manipolare le grandi masse e a direzionarle nella funzione in cui loro scelgono di portarle. Quindi la differenza tra chi agisce politicamente e chi agisce per interessi personali sta tutta nella prosecuzione della propria azione.
C’è ben poca virtù nell’azione delle masse. All’interno di questo agglomerato di persone svanisce la personalità cosciente. Dunque, elementi come i sentimenti e le idee si orientano in un’unica direzione, dando vita ad un’anima collettiva, seppur passeggera. Si potrebbero racchiudere le caratteristiche della folla in tre grandi concetti:
– l’autoreferenzialità,
– la contagiosità
– la suggestionabilità.
Queste folle non accumulano intelligenza, bensì mediocrità, in quanto l’uomo fa la differenza nella sua singolarità e non all’interno di una moltitudine. Gli individui di una folla, poiché regna l’anonimato, assumono un sentimento di invincibilità.
Chi agisce politicamente per il bene della polis costruisce una democrazia che è in grado di garantire i diritti di tutti, soprattutto delle minoranze.
Chi sviluppa una visione massificata, lo vuole solo per interesse personale.
Chi si unisce solo in funzione di un appetito, un desiderio, non ha nessun interesse politico.
La politica è la capacità di saper esprimere la propria aretè, la propria capacità di essere utile.
Riporta al centro dei tuoi pensieri l’azione, l’agire, no la pretesa che qualcun altro mi dia qualcosa che desidero. Per agire secondo una vita attiva io devo superare il mio interesse personale. Non vivere solo per soddisfare le mie pulsioni, i miei desideri, ma per cercare di costruire qualcosa nell’interesse di tutti.
Il vero problema è che la parità dei ruoli e di diritti e doveri non ha ancora raggiunto la nostra cultura, questa non parità parte dalle famiglie, radicate nella cultura del non lavoro femminile.
I valori che ogni donna deve trasmettere ad un’altra donna sono di credere in se stessa, non avere alibi, vivere intensamente, scappare dalla mediocrità.
Le donne di potere possono cambiare la vita lavorativa alle giovani donne, quando le donne fanno squadra tra loro e mettono insieme i loro poteri i risultati sono sempre eccellenti.
Sta a noi donne costruire un mondo più equo far valere le nostre capacità, costruire un mondo non basato sulla prevaricazione, ma sulla collaborazione, comunità e competenze. Noi stesse dobbiamo creare politiche attive di lavoro e nuove opportunità lavorative che possano far conciliare meglio la vita familiare con quella professionale. Non dobbiamo aspettare che la politica crei la situazione ideale per noi.
Le giovani donne devono agire e non aspettare che siano gli altri a farlo. Dobbiamo aiutare gli uomini ad apprezzare e valorizzare le differenze e le risorse femminili e non dobbiamo permettere a nessuno di farci smettere di sognare una vita ricca di amore e una vita professionale ricca di soddisfazioni.
Dobbiamo trasformare tutte le nostre conoscenze in una nuova cultura, in nuovi progetti, in innovazioni, siamo più utili se attiviamo le nostre energie e troviamo soluzioni piuttosto che a stare nel coro.